FIGLI DEGENERI

 

Letteralmente scomparsa dagli attuali testi di epica la traduzione dell’Eneide ad opera di grandi scrittori. Come amante di Virgilio, dovrei rifiutare la traduzione di Caro a causa dei continui tradimenti dell’originale, ma il Cinquecentista ha saputo ricreare una nuova pagina di letteratura, che ai giovincelli appare un po’ ostica per un tipo di lingua letteraria lontana dall’uso. Ma è proprio il sapore vetusto, e oserei dire venusto, della fattura cinquecentesca che mi attrae.
A nessuno può sfuggire la musicalità dei verbi al passato remoto, i quali connotano di solenne ieraticità il narrato: obliossi, lanciolla, afferrollo. Per non parlare delle scelte lessicali, alle cui spalle si estende l’etimologia latina fortemente pregnante: lo stesso “obliossi” dal latino obliviscor, rimasto nel nostro “oblio”, “empio” cioè non “pius”(non devoto), i numina diventati “numi”, il verbo “funesti” da “funus” per indicare lo scellerato delitto in un luogo sacro, ruinata dal verbo “ruo”(precipitare, cadere a precipizio), “combusta” da “comburo”, bruciare, rimasto in combustione. Insomma linguisticamente la traduzione di Caro non toglie proprio nulla alla ricchezza semantica dell’originale.
Gli si può rimproverare qualche tradimento contenutistico, la mania, tipica di tanti filologi del suo tempo, di correggere l’originale, di modificare un lemma, di aggiungere. Caro è proprio figlio dell’Umanesimo e, perciò, possiamo giustificarlo.
Quanto ai versi proposti per me è solo emozione e godimento; il secondo libro dell’Eneide è per gran parte analettico rispetto all’intreccio. Enea, su richiesta di Didone, racconta le sue peripezie: chi potrebbe dimenticare l’inganno del cavallo? E Laocoonte avvinghiato da mostruosi serpenti insieme ai figlioletti? Il testo postato, invece, ritrae uno degli ultimi momenti del re di Troia, Priamo. Nell’atrio, presso l’altare, Priamo chiede le armi per morire combattendo, ma Ecuba lo rimprovera. Ma ecco Polite, uno dei figli del vecchio re, precipitarsi inseguito da Pirro, figlio di Achille, che lo ghermisce e lo uccide davanti agli occhi dei genitori. Priamo si leva a combattere e con una disperata invettiva lancia un inutile dardo contro il nemico. Pirro, selvaggiamente, lo afferra e lo sgozza sull’altare, nel sangue del figlio.
L’episodio si conclude con l’immagine straziante del corpo di Priamo, il cui capo staccato dal tronco giace senza nome sulla spiaggia.
Facendoci emozionare e riflettere, i grandi autori portano alla ribalta gli eterni drammi dell’uomo. Di ieri, di oggi, di sempre. Non è un caso che oggi io, dopo aver visto il film di Spielberg, Munich, posti l’efferato delitto di Pirro, che del padre Achille non conserva nulla; anzi è orgoglioso di aver tralignato, di essere un figlio degenere, pronto a spargere sangue per odio e malvagità. La guerra è solo bestialità; e in tal senso non ci sono schieramenti che tengano. Né cortei, né fiaccolate. Questi ultimi forse servono, ma per testimoniare. La malvagità. La pietà. Il perdono.
 
 
Qui, perché si vedesse’ a morte esposto,
 Priamo non di sé punto obliossi,
né la voce frenò, né frenò l’ira
 anzi esclamando « O scellerato» disse
 « o temerario! Abbiati in odio il cielo,
se nel cielo è pietade; o se i Celesti
 han di ciò cura, di lassù ti caggia
la vendetta che merta opra sì ria.
Empio, ch’anzi ai miei numi, anzi al cospetto
mio proprio fai governo e scempio tale
d’un tal mio figlio, e di sì fera vista
le mie luci contamini e funesti.
Cotal meco non fu, benché nimico,
Achille, a cui tu mènti esser figliolo,
quando, a lui ricorrendo, umanamente
 m’accolse, e riverì le mie preghiere;
gradì la fede mia; d’Ettor mio figlio
mi rendé il corpo esangue e me securo
nel mio regno ripose ». Inquesta, acceso
 il debil vecchio alzò l’asta, e lanciolla
sì, che senza colpir languida e stanca
ferì lo scudo, e lo percosse a pena,
che dal sonante acciaro incontinente
risospinta e sbattuta a terra cadde.
A cui Pirro soggiunse: «Or va tu dunque
messaggiero a mio padre, e da te stesso
le mie colpe accusando e i miei difetti
fa’ conto a lui come da lui traligno:
e muori intanto ». Così dicendo, irato afferrollo
e per mezzo il molto sangue del suo figlio, tremante e barcolloni
a l’altar lo condusse. Ivi nel ciuffo
con la sinistra il prese, e con la destra strinse il lucido ferro e fieramente
nel fianco infino agli elsi glie l’immerse.
Questo fin ebbe, e qui fortuna addusse
 Priamo un re sì grande, un sì superbo dominator di genti e di paesi,
un de l’Asia monarca, a veder Troia
ruinata e combusta, a giacer quasi 
 nel lito un tronco desolato, un capo   
senza il suo busto e senza nome un corpo.
(Eneide II, Morte di Priamo, traduzione mirabile- non sempre fedele all’originale- di Annibal Caro 1507-1566)
(Nella foto  un affresco che ritrae Priamo che chiede ad Achille il corpo di Ettore)
morte di priamo
(La morte di Priamo,Giovan Gioseffo Dal Sole, 1654 – 1719)

21 pensieri su “FIGLI DEGENERI

  1. scusa l’ OT..
    ma vile è una parola talmente brutta.. che nulla a che vedere in quel contesto..
    come spesso accade si commenta una cosa “vista in superficie” .. ma è normale.. solo che vile non c’entra nulla e voglio proprio dirlo e ribadirlo.
    grazie
    ciao
    mag

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  2. Però, però. però…sono d’accordo con te, anch’io al liceo l’ho studiata nella traduzione di Caro, ed il fatto che aggiungesse anzichè togliere non è poi negativo come possa sembrare. Traduzione “a senso”, si diceva all’epoca, ma efficace, colorita, viva.
    Tremo a pensare a cosa potrebbe essere oggi, dopo che si è perso il gusto per il suono della parola (un Enea “trendy” e “politically correct”?).
    Rabbrividisco…

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  3. a proposito di lessico in disuso, a me piace tantissimo quando svevo scrive, “tranquillarsi” invece del moderno tranquillizzarsi, perchè rispecchia nella fonetica la semantica… la doppia elle è troppio più “tranquilla” e rilassante che non la Z.

    lo so non c’entra niente con Virgilio, ma volevo partecipare 🙂

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  4. Mag, non so a quale contesto ti riferisca; in ogni caso ognuno è libero di contestualizzare come meglio crede.
    Ho tentato di ricostruire , ma sul tuo blog non c’è traccia del commento che avevo lasciato. Chiedo venia.

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  5. Pur desiderando leggere le gesta epiche del ciclo della guerra di Troia,
    al pari dei “giovincelli”, Monti, Pindemonte e Caro mi atterrivano:
    ma leggere L’Iliade, l’Odissea e l’Eneide integralmente nella splendida, moderna e fedele traduzione di Rosa Calzecchi Onesti per i tipi di Einaudi, è stato un viaggio letterario di grande piacere ed entusiasmo, come mai avrei creduto.
    Tu che ne pensi caro Melchi?
    Un abbraccio.

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  6. Mel se “linguisticamente la traduzione di Caro non toglie proprio nulla alla ricchezza semantica dell’originale.” gli va anche dato ampio merito e riconoscimento di aver donato una musicalità alle nostre orecchie assordate da ben altre musiche..
    Io non ricordo in quale traduzione la studai ma così è una goduria che, diciamola, si apprezza dopo i trenta anni.:)

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  7. a me l’Eneide fa proprio fare un salto nel passato remoto.. anche se i ricordi non sempre rivanno al testo..
    cmq credo anch’io che i grandi autori servano a mettere in luce l’intero spettrogramma dell’animo umano.. da Francesco d’Assisi a Hitler (giusto per prendere due esempi..) con tutte le loro ampie sfumature.. (drammatiche e non..)
    ciao prof.
    Nasrudin

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  8. “Ai miei tempi”, l’unica versione dell’Eneide accreditata era quella di Annibal Caro, la più antica, in endecasillabi sciolti, e su quella ho seguito le vicende del malinconico pius Aeneas.
    Mel, ma tu te la ricordi la versione di Carlo Carena, che ha scelto una prosa ritmica, attentissima ai significati dell’espressione.
    Nonostante sia in prosa segue la disposizione delle parole del testo latino, e dei corrispondenti esametri.
    Senz’altro di più semplice e immediata comprensione per i “nostri giovani”…forse.
    Grazie Mel, un abbraccio.

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  9. Aggiungerei una considerazione importante su una conquista importante delle civiltà indoeuropee: il dovere della pietas per il nemico vinto. Gli dèi, che pure non erano modelli di pietas, punivano tuttavia i comportamenti spietati, anche in guerra. Ne ebbe contezza Agamennone al suo ritorno a casa…
    Complimenti per la tua lettura di Virgilio e di Caro, e per la tua passione per i prodigi della comunicazione verbale.
    Con stima e simpatia. harmonia

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  10. @Harmonia, hai evidenziato un punto fondamentale: la “pietas” di matrice virgiliana. Come tu ben sai, la simpatia di Virgilio è per i “vinti” della storia, della vita, del destino. Lontano dalla spietatezza dei guerrieri omerici, sebbene il sacro poeta greco talvolta dispensi attimi di dolcezza; come non pensare ad Ettore e Andromaca? E Priamo di fronte ad Achille?

    @Concordo Parole non dette. 🙂

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  11. @Arthur, nessun perdono! Non ha nulla che debba essere perdonato. Ci sono tanti impegni nella vita di ogni giorno; se a volte non si commenta, dipende anche da ciò. Si rischierebbe di essere superficiali. Pensa che così mi è stato detto per un commento, per un aggettivo usato! 🙂

    @Silvio, il tuo commento è decontestualizzato; non lo cancello per due motivi: 1)per rispetto nei tuoi confronti; 2)perchè il Capo del governo non necessita di blog per sponsorizzarsi, gestendo, direttamente e indirettamente, i canali della comunicazione.

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