C'è un "dopo"

Quando, qualche anno fa, abbiamo cominciato a digitare le prime battute sui nostri blog, a costruire, in una parola, la narrazione della nostra vita, incorniciandola o in un quadro epico degno di essere letto, nonostante le dichiarazioni di modestia da parte dei blogger, o in uno scenario di più o meno millantato realismo, abbiamo anche spesso dibattuto sul carattere virtuale della rappresentazione che proponevamo sul web, evidenziando che un conto è vivere nel reale, un altro è rappresentare, narrare, raccontare e descrivere nelle pagine dei blog e dei social network.
Ricordo che già dal 2007 molti blogger abbandonarono i loro spazi personali in preda a una crisi di virtualità che, a detta loro, li allontanava dalla realtà vera, quella in carne ed ossa; qualcuno, a quanto pare, aveva perso anche la sua forma fisica a furia di stare appiccicato allo schermo del computer, qualcun altro aveva trascurato le relazioni umane con amici e parenti, tessendo una falsa rete affettiva proprio tra le maglie del web.
Ipervirtualità, disorientamento nel reale, alienazione, tendenza al mascheramento, esaurimento delle scorte di argomenti da trattare, stanchezza e delusione hanno avuto ben presto il sopravvento sulla voglia di scrivere, provocando sparizioni improvvise o trasformando le case-blog in lande desolate.
Ben presto i delusi e gli sconsolati si sono rifugiati tra le braccia di FB, più veloce, meno mascherante, più funzionale dei blog nel saldare vita virtuale e reale e nell’amplificare il carattere narcisistico dell’io; si è scatenata una vera e propria gara nell’accumulare amici e contatti, come se esistesse un nesso diretto tra il numero degli amici che uno ha e la pienezza di significato della propria vita. FB si è rivelato un potente motore di massificazione dell’io attraverso la creazione di gruppi e di fan delle cose più strampalate, ma anche un rivoluzionario strumento di propaganda e di comunicazione tra individui e gruppi impegnati nel sociale e nel politico.
 
Siti, blog, social network, dopo la carneficina di Oslo, non possono essere più concepiti come luoghi della virtualità pura e assoluta: il processo di osmosi tra ciò che è reale e ciò che è virtuale è del tutto compiuto, quasi fosse in atto una mutazione antropologica, che ci costringe a soppesare con spirito analitico quel pezzo di noi che consideravamo virtuale e che tale non è.
Lo dimostrano quei corpi senza vita disseminati tra le gelide coste della Norvegia.
A nessuno venga in mente, tuttavia, di colpevolizzare il web, di additarlo come luogo della perdizione, laboratorio di carneficine, rivoluzioni e stragi.
In Italia corriamo questo rischio, mentre si farebbe bene a reagire, come ha evidenziato il Primo Ministro norvegese, con più democrazia.
Soltanto abituiamoci a convivere con uno strumento, il web, che ha anche il merito di portare in superficie quella parte oscura di noi, quell’angelo caduto, che, volenti o nolenti, ci accompagna come un’ombra. 

4 pensieri su “C'è un "dopo"

  1. Ecco, vorrei proprio che non si demonizzi il web.
    Ci sono menti molto malate – e quella della persona che ha compiuto la strage in norvegia lo era – che non vengono riconosciute e che hanno in sè un potenziale distruttivo immenso.
    Credo che il web ne amplifichi questa sorta di distruzione quando trovano proseliti.

    La difficoltà sta proprio nel trovare la mediazione nella convivenza con uno strumento così potente e spesso alienante.
    La mente umana segue percorsi oscuri, quelle ombre di cui parli tu che devono trovare il giusto peso in ognuno di noi…il confine è molto labile, oltrepassarlo per qualcuno può essere l'unica forma per autodeterminarsi.
    Portando alla luce "mostri" come quello norvegese.

    Blue

    "Mi piace"

Lascia un commento