Senza pietà

In seguito allo sfascio operato da Beata Ignoranza è sempre più frequente vedere frazionata la cattedra di lettere nei licei. Anzi m’è andata benino quest’anno. Devo, però, stare in condominio, in una classe, con  Mamy. Nemesi, infatti, s’è vendicata. Ho macchinato, quest’estate, per liberarmi di una, la Giumenta, e mi ritrovo un’altra piaga, appunto Mamy, la quale, senza consultare i virgulti, né indagare discretamente sul loro status economico, li ha abbonati a un ciclo di spettacoli teatrali, che hanno un certo costo. Io mi sono imbufalito per una serie di motivi: avrebbe dovuto consultarmi in quanto collega condividente(e avrei opposto un categorico no*), farsi dare il beneplacito da tutto il c.d.c e, ripeto, indagare sulle possibilità economiche delle famiglie; a tal proposito è mio costume, quelle rarissime volte in cui la classe esce a pagamento, lasciare un certo spazio di manovra agli studenti. Lancio la proposta e attendo qualche giorno prima di avere la risposta. Il motto è ” o tutti o nessuno”, con l’esplicita nota che, se ci sono problemi, possono parlarmene in privato. Infatti può succedere che, raschiando sul Fondo, si trovi una spicciolata di euro per permettere a tutta la classe di uscire. Mamy, invece, ha fatto tutto di testa sua. Ho rifiutato, intanto, le sue scuse, ma questa è poca cosa, se si considera che la Capa, su soffiata di due genitori in difficoltà economiche, è diventata una furia anguicrinita. Io ci ho messo del mio, crocifiggendo Mamy. A condire l’insalata hanno provveduto i ragazzi: stamani gli assenti erano cinque. Ora attendo, davanti al fiume, che passi il cadavere. 

*Penso che in prima gli alunni debbano stare in classe a masticare grammatica da mane a sera. Altro che teatro!

12 pensieri su “Senza pietà

  1. Da noi le uscite sono approvate generaliter e di massa nel primo consiglio, proprio come elemento di didattica non formale importante (ed è una prassi che mi trova molto consenziente, devo dire); dunque in quello Mamy non avrebbe mancato, perché approviamo il principio che ciascuno di noi può, previa segnalazione con congruo anticipo a registro, fare le uscite che ritiene opportune, affinità di materia o meno.
    Sulla questione dei soldi invece siamo molto, molto attenti, proprio per i motivi che tu dici. Può darsi che sia stata tratta in inganno, visto che dici che è una persona solitamente attenta, dalla prassi. Nel senso che per esempio alcune attività che vedevano l’unanimità per noi quest’anno sono state rimandate a data da destinarsi perché la capacità economica degli alunni regredisce di anno in anno. Anche per due euro a persona.

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    • Il primo consiglio sarà a fine ottobre e nulla ostava(a parte il mio “no” di metodo) allo spettacolo teatrale, se Mamy ne avesse parlato preventivamente ai colleghi, Povna. Ma, da tempo, a me pare che nella scuola italiana si privilegi più l’estro degli insegnanti che la didattica.

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      • E’ il motivo per il quale noi approviamo subito e di base le uscite, come ti dicevo. Sicuramente però bisogna essere chiari sul metodo preventivo (quello appunto che nella nostra scuola è esplicitato) prima di partire in autonomia. Sulla diatriba estro/didattica, ne sto parlando proprio in queste ore nel breve saggio sugli insegnamenti che stiamo scrivendo in queste settimane con zio Remo (uno dei massimi esperti mondiali di letteratura e teoria della medesima, ora in pensione, che ha insegnato un po’ nelle più importanti università del globo, e che alla riflessione intelligente sulla didattica ha dedicato anni della sua passione militante) e Viola. Io credo in realtà – pensando anche al confronto con modi di insegnamento altri (io per esperienza diretta ho provato l’Inghilterra, a lungo, l’America, il Portogallo, la Francia e la Germania), che non prevedono necessariamente il modello mnemonico-orale-frontale così tipicamente italiano – che sia necessario interrogarsi a fondo su se, e quanto, la nostra impostazione molto tradizionalistica della didattica sia la migliore possibile. Nella mia esperienza, quello che vedo è che i migliori allievi che mi arrivano all’università dai Licei non sono quelli bravi e diligenti, abituati ad ascoltare, a prendere appunti e poi a studiare a casa quello che hanno doverosamente e coscienziosamente ascoltato in classe. I miei migliori studenti, quelli che hanno fatto tesi degne di pubblicazione, o che poi hanno vinto il dottorato a Oxford, sono ragazzi magari meno ortodossi, ma vivaci, pronti a scandalizzarsi di fronte a un problema, e che chiedono all’insegnante non risposte frontali, ma domande, magari da ragionare in gruppo con la modalità compiutamente seminariale. Ecco, almeno nella regione dove vivo, questo è un problema molto grande dei grandi e prestigiosi Licei, dove, viceversa, viene considerato importante solo stare in classe, in silenzio, studiare a casa, riportare buoni voti in verifiche che sono orali nella tipologia se non nella sostanza, e che consegnano una consapevolezza e una coscienza estremamente vuota dei saperi. La differenza insomma tra sapere per la scuola e sapere e basta. Ci sta che dalle tue parti il problema non sia ancora arrivato, e infatti come ti precisavo la mia riflessione nasce da un contesto che è quello che conosco meglio.
        Però io credo in generale che una impostazione più originariamente socratica e peripatetica del sapere non sia né sbagliata né contraddittoria rispetto alle origini stesse del pensiero occidentale sul quale si basa la nostra paideia.
        Ciò detto, e in ogni caso, in un Istituto Tecnico, quale è quello dove insegno, è indubbio che se si rinuncia agli strumenti (moderatamente innovativi) dell’educazione non formale si rinuncia all’idea di educare tout court.

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        • Dietro metodi e protocolli didattici ci sono sempre persone(insegnanti), che possono mortificare o esaltare il “genio” dei nostri studenti. Una lezione frontale può essere un calvario per i ragazzi, come una lezione poco “formale” arricchirli. E viceversa. Sinceramente non sono in grado di stabilire quale sia il modo “migliore”, né mi sento di stigmatizzare l’una o l’altra opzione. Nè penso, in fondo, che esista un modello didattico valido in assoluto. Credo che sia necessario discernere, volta per volta, quale scelta sia la migliore per il bene dei ragazzi e del docente.
          In questi ultimi anni, per esempio, ho smesso di parlarmi addosso per due ore consecutive, sollecitato molto dalla mania del programma da svolgere.
          Le mie ore “allungate” prevedono attualmente frontalità e laborialità e ciò per tutte le discipline che insegno.
          In riferimento al post non vedo come uno spettacolo teatrale, nella fattispecie la rivisitazione in chiave moderna di una “tragedia” euripidea, senza che i ragazzi peraltro ne abbiano mai sentito parlare, possa aiutarli a impadronirsi di un apprezzabile metodo di traduzione.
          Ci sarà tempo per il teatro.

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          • Beh, non avevi detto il tipo di attività, dunque non potevo giudicare nel merito. Nello specifico, ti rimando a un post sul significato del tradurre i classici a scuola pubblicato qualche mese fa sulle Parole e le cose da Mariangela Caprara, che, per quanto non specificamente sul teatro, pone la questione nei termini di riflessione su “storia della tradizione classica” vs “traduzione pura e semplice”. In particolare, quello che potrei dire è che vedere uno spettacolo attualizzato può portare ad avere un atteggiamento diverso verso la traduzione, se non a un rafforzamento di competenza. Un atteggiamento, per esempio, desiderante. Che potrebbe essere, come no, un’arma in più. (Sul fatto di non parlargliene ovviamente massima censura, ma a quello si può facilmente ovviare e la cattiva didattica di Mamy non osta alla valutazione teorica positiva della pratica in sé). http://www.leparoleelecose.it/?p=7834

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