Ho firmato, e invito a farlo, la petizione DILLO IN ITALIANO.
Infarcire discorsi politici e comunicazioni amministrative, resoconti giornalistici o messaggi aziendali di termini inglesi che hanno adeguati corrispondenti italiani rende i testi meno chiari e trasparenti, meno comprensibili, meno efficaci. Farsi capire è un fatto di civiltà e di democrazia.
Ma non solo: la lingua italiana è amata. È la quarta studiata nel mondo. È un potente strumento di promozione nel nostro paese ed è un grande patrimonio. Sta alle radici della nostra cultura. È l’espressione del nostro stile di pensiero. Ed è bellissima.
Privilegiare l’italiano non significa escludere i contributi di parole e pensiero che altre lingue possono portare. Non significa chiudersi ma, anzi, aprirsi al mondo manifestando la propria identità. Significa, infine, favorire un autentico bilinguismo: competenza che chiede un uso appropriato e consapevole delle parole, a qualsiasi lingua appartengano.
Grazie
Annamaria Testa via Change.org
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Mi auguro che tu abbia firmato, Enrico. 🙂
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Un po’ scettica sul valore di queste petizioni, sia per motivi di socio-linguistica, sia dello strumento, devo dire. Ci penso, ma non credo che firmerò.
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Può darsi sia un atto puramente simbolico. Però un certo fastidio per questo uso spropositato di termini inglesi, anche pure a casaccio, tanto per mettersi in evidenza, sento di provarlo, perciò ho firmato. E ho invitato qualche amico a seguirmi. Così, tanto per ricordare che siamo eredi di una solida tradizione.
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@Povna, se si fosse trattato di un rigurgito purista, non avrei firmato, essendo convinto che la lingua non sia uno strumento da tenere in vetrina in bella mostra o da usare una tantum per gli ospiti di riguardo. Mi pare che la richiesta di petizione(non è ancora una petizione)sia circoscritta all’ambito legislativo/amministrativo, in cui al burocratese sibillino da qualche decennio si è mescolato l’uso di parole straniere, che strozzano la comprensione di gran parte degli Italiani. Scorgo in questa campagna di sensibilizzazione un orizzonte democratico, come anche nello strumento costituzionale.
@Ornella, anch’io mi chiedo da cosa dipenda questa tendenza. Moda? Snobismo? Sentimento di inferiorità? Personalmente faccio un uso limitato di parole straniere, ma questa è una mia scelta, dettata da una passione travolgente per la nostra lingua e le sue antenate.
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Io ho firmato.
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Ben fatto, Pensierini! 🙂
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oh, magnifica iniziativa!!! ricordo anni fa all’agenzia delle entrate…..un vecchietto sugli 80 anni, entrò in una stanza dov’ero io con un funzionario e spaesato chiese dove fosse non so chi. Il funzionario disse: SI RIVOLGA AL FRONT OFFICE!!! il vecchietto fece una faccia così sgomenta, che io gli ripetei traducendo in dialetto: la vada al bancon …. e ancora, un medico disse al mio ex suocero: le suggerisco un path da seguire (cioè un sentiero, una traccia, comportamenti da mettere in atto per migliorare una situazione) ed al suocero cadde la mandibola….
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@albaplena: mi hai fatto sorridere in questa grigia domenica !!! Grazie!
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Esilarante Albaplena! 🙂
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Un parere autorevole
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Bisogna sforzarsi di usare i corrispettivi italiani delle parole inglesi, per evitare che vadano dispersi. Per esempio, parlando di presentazioni, perché usare il termine ‘slide’ e non ‘schermata’ o semplicemente ‘pagina’, se proprio ‘diapositiva’ sa di muffa?
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Concordo, Pensierini.
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