Non capiscono che soltanto ciò che nasce da noi soddisfa

Oggi è questo il mio tributo all’Otto Marzo. Pagine che sono ancora giovani, neanche cent’anni: Nessuno torna indietro di Alba de Céspedes, anno 1938.Voci la interrogarono: la sua voce rispose quasi non le appartenesse; la sentiva alzarsi nella vasta sala: tutto le appariva facile come stare ad ascoltare un’altra. Bastava tacere, appartarsi, una grande calma era in lei. La voce da sola discuteva, ritrovava senza fatica le parole preparate nella notte, e da giorni e da tempo, sicura voce. Anche la voce di Belluzzi le parve sconosciuta. Capì che in quel momento nulla poteva aiutarla se non lei stessa: nessuno avrebbe potuto accostarlesi, tutti discosti, e lei, sola, con la sua voce che risuonava alta sotto le volte dell’aula. Mentre la voce parlava, i professori si tendevano verso Silvia attenti, convinti: la voce non se ne sgomentava. Silvia sì, che cercava di rinchiudersi in se stessa, sperando che non la notassero, le perdonassero di essere lì; ma la sua voce, quella che veniva da tante ore di raccolto studio, di pene e di speranze, quella sì, limpida e chiara, saliva e s’imponeva alle altre voci che adesso le sembravano sommesse. 

Quand’ebbe finito le parve di galleggiare su un’acqua straordinariamente calma, in un luminoso silenzio. Si alzò e uscì. Anche le compagne uscirono: ricadde dietro di lei la portiera, le ragazze le strinsero la mano, l’abbracciarono, le dissero, entusiaste, «brava, brava», come a un’eroina, anche Vinca era venuta, anche Andrea, e Silvia rideva nervosamente, ma era come se piangesse. Quando fu chiamata, s’affacciò esitante sulla soglia dell’aula; la luce vaga degli occhi s’era abbassata come la fiamma della candela sotto il fiato del vento. L’invitarono a farsi più avanti, e lei a piccoli passi s’avanzo torcendosi le mani. Fu Belluzzi a dirle che si era laureata in lettere con centodieci e lode, e ad esprimerle il plauso del Collegio. […] Tutto era finito ormai, era stata cosa semplice: centodieci e lode. Vivere gli avvenimenti è molto più facile che immaginarli. Le avrebbero dato una pergamena col suo nome svolazzante tra fregi rossi e oro. E adesso, Silvia? Adesso? Niente era mutato, solo quel «dott.» che poteva mettere davanti al suo nome. Bisognava fare tutto da sé. Aveva provato questo lasciando il paese, quando si trovò nel treno, sola. […] Ripensava a tutto questo ed era rimasta un po’ indietro nel gruppo, come affaticata; le ragazze ora entravano in un caffè, poiché, come era d’uso, Silvia doveva offrire il vermut: un antico caffè della via dei Condotti dove negli anni scorsi gli artisti usavano riunirsi. Era deserto.[…] Si diffuse una sorridente freddezza, tutte guardando Silvia cercavano di ritrovare l’atmosfera consueta, ma non era possibile, qualcosa stagnava, erano prese da un invincibile impaccio. -Che è accaduto?- Silvia chiese e poi insisté:-Siamo tutte stravolte, io per la prima. -Niente è accaduto, è l’emozione, forse- fece Augusta. -No. Io lo so di che si tratta; non sono più delle vostre- e nonostante quelle protestassero, ella proseguì: -Lasciatemi parlare. È così. È bastato un nulla, quell’ora dell’aula, e io ho staccato la mia vita dalla vostra. Vi è fra noi una distanza enorme, io vi guardo con rimpianto, voi con rammarico. Oh, è terribile! […] Stasera non avrò più da mettere i miei libri accanto ai vostri, non più la mia attesa e la mia ansia: adesso la vita non è più la nostra, è la mia. Avvenimenti potrebbero distruggermi e non toccarvi affatto. – Tu dici bene, Silvia. La vita appartiene solamente a noi, ormai chi tornerebbe a darla ai propri genitori? -Poiché siamo capaci a viverla da sole, poiché siamo, diciamolo, ragazze intelligenti. Quante vorrebbero sciogliersi da questa responsabilità? Non capiscono che soltanto ciò che nasce da noi soddisfa. -Anche un figlio- fece Anna. -Sì, anche un figlio, ma il lavoro ci appartiene di più. Nessuno può togliercelo, nessuno contestarcelo. Altre preferiscono appoggiare la propria vita a quella degli altri, altre si fanno portare dal vento. Nelle pupille di Silvia luceva una radiosa gioia delle proprie conquiste. Emanuela rabbrividì pensando che, tra loro, lei era quella che si faceva portare dal vento. Chi sa dove, chi sa dove.

11 pensieri su “Non capiscono che soltanto ciò che nasce da noi soddisfa

  1. Mai e poi mai, appoggiare la propria vita a quella degli altri. Per fortuna mia madre aveva un lavoro appagante e ben retribuito, quando mio padre le manifestò la decisione di lasciare lei e me, salvo pentirsene, quando ormai era troppo tardi. Questo avveniva nel 1963, più di cinquant’anni fa.

    "Mi piace"

  2. @Povna, l’ho scoperta tre anni fa in uno dei miei giri cittadini fra le librerie dell’usato; dapprima mi hanno attratto titolo, anno di pubblicazione e copertina, poi ne ho apprezzato il contenuto. Tra l’altro mi piace molto l’uso che fa la De Cespedes del predicativo del soggetto.

    @Non ho letto “Quaderno proibito”, Lanoisette; chissà che non lo recuperi in una vecchia edizione!

    "Mi piace"

  3. Letto giovane giovane e capito poco:da riprendere, magari in una edizione antica. Grazie per il suggerimento, perfettamente in tema con la giornata!

    "Mi piace"

  4. Negli anni 80 era tornata di moda, sulla scorta della questione femminile, mentre ora è stata nuovamente ingoiata nell’oblio (insieme alla questione femminile, per l’appunto), invece è molto brava. Tu hai ricordato Nessuno torna indietro, che è stato forse il romanzo più famoso, LaNoisette il Quaderno Proibito, che è bellissimo, ma quello che mi è rimasto più impresso nella memoria e ogni tanto striscia fuori, soprattutto quando sento spiegare in giro di “come sono gli uomini” e “come sono le donne” è “Dalla parte di lei” – che ha lo svantaggio di essere di una tristezza incommensurabile.

    "Mi piace"

  5. Alba de Cespedes. Ricerco da sempre il suo romanzo Nel buio della notte. Quando avevo diciott’anni stavo per comprarlo, poi comprai un altro libro. Anni dopo lo ricercai, era già fuori pubblicazione. Ho sempre rimpianto di non averlo mai letto.

    "Mi piace"

Lascia un commento