
Un’ala della cittadella per matti con un campo di calcio
Ancora una volta, per questioni burocratiche, tanto per inaugurare il termine delle vacanze, sono andato all’ex manicomio di Palermo, oggi convertito in polo sanitario, ma stavolta è stato diverso dalle altre, perché, parcheggiata l’automobile, ho percorso a piedi i viali alberati alla ricerca del padiglione giusto. Non è stato semplice individuarlo a primo colpo, sia perché scarseggiano i cartelli indicatori, sia perché il verde lussureggiante di alberi, cespugli e arbusti di edera nascondono al visitatore i cancelli dei vari ingressi; dapprima, dimenticando di non trovarmi nella città ideale e assecondando il mio fare raziocinante, ho tentato di scovare il padiglione da me, poi ho desistito e ho chiesto informazioni al portiere, le cui dritte, pur corrette, non poco mi hanno fatto indugiare davanti all’ingresso del padiglione misterioso, completamente immerso nel verde, che ne ha quasi cancellato l’impronta umana.
Che silenzio!
Le porte degli uffici serrate, neanche un alito di vita umana, il lucore del mattino letteralmente esploso in un gioco di riflessi tra l’uscio e le finestre. Anziché concentrarmi sulla ricerca della stanza mi sono abbandonato ai ricordi dei racconti non troppo fantasiosi di chi ha lavorato, a vario titolo, al manicomio negli anni in cui era ancora attivo e mi sono figurato che in quegli spazi, oggi redenti, si consumarono drammi personali e storie di vite intere inghiottite dalla voragine della dura legge dei trattamenti sanitari e dei provvedimenti coercitivi. Da otre di urli a oasi di silenzio, dove voci, tecnicamente cortesi, dispensano consigli e appongono firme. Piccoli reami di potere burocratico concentrati in stanze smisuratamente estese, dove nessuna riforma ha garantito finora una riabilitazione delle menti dei normali.
sembra quasi una sorta di “rivincita” trovare un manicomio vuoto, al di là di quanto fu legiferato in merito, e mi sembra più che naturale e legittimo ripensare a quanti uomini, quanti fatti, quanta ingiustizia e dolore, forse anche sollievo e cura (anche se le testimonianze di solito non giocano a favore di quest’ultima ipotesi) possano esser accaduti in uno stabile di tale tipo a “pieno regime” begli anni passati… le rare volte che passo davanti l’ex manicomio qui del capoluogo penso a tutti quiei fortunati che hanno fatto “finta di essere sani” per non finire la’ dentro… e peggiorare ulteriormente la loro situazione. Compreso il sottoscritto, si capisce 🙂
Con rispetto. Ray
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@Ray, il manicomio è qui, tra noi. 🙂
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Ciao Melchisedec,
scrivo per la prima volta per ringraziarti per questo post su un luogo che frequento anch’io molto spesso. Mi chiedevo se fossi mai stato al vivaio di piante grasse che sta poco lontano dal campo di calcio. Se non l’hai visitato credo ti piacerebbe molto!
Cordialmente
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@Grazie a te, Lucia, per la lettura; pensi che le mie parole abbiano reso in qualche modo idea del luogo?
Non ho mai visitato il vivaio, né sapevo della sua esistenza; lo visiterò senz’altro.
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