Sotto il tiepido sole di ieri pomeriggio, tra effluvi di zagara di agrumi e di rose canine, abbarbicate sugli sterpi dei muretti a secco, che costeggiano i viottoli di campagna, lenta e neniosa una processione di fedeli si è recata all’Eremo dei Poveri, per tributare alla omnititolata Vergine Maria l’onore del restauro. Contrariamente all’inganno che può generare la foto qui sotto, l’eremo si trova in una vallata, ai piedi di una montagna, lambito dalle acque maleodoranti di un corsetto d’acqua pullulante di zanzare, bisce e anfibi, infatti per accedervi è necessario attraversare un ponticello. Malgrado i limiti, non si poteva rinunciare a un appuntamento con la microstoria del mio piccolo centro e così ho partecipato alla processione. Grande assente la mia amica MariaNeve, impedita, dice lei, da dolori articolari, che le avrebbero impedito la scarpinata, e sicuramente dall’allergia stagionale, che, come minimo, l’avrebbe prostrata, se avesse inalato pollini di zagara, rose, vilucchi e margherite.
I vecchi raccontano che vi si andava in processione, recitando il rosario, quando l’annata era stata particolarmente magra di pioggia, ma per i poveri era anche meta di pellegrinaggio nel mese mariano; altri, negli anni ’60 e ’70, lo sceglievano come luogo di scampagnata nelle feste di calendimaggio e di ferragosto. Sull’Eremo dei Poveri le fonti, purtroppo, sono scarsissime; secondo il favoleggiamento degli storici improvvisati il sito fu scelto dai monaci cistercensi(?)alla fine del secolo XIII come eremo, ma dell’antica costruzione non è rimasto nulla. Le notizie diventano, invece, certe a partire dal XIX secolo: l’eremo fu edificato per rendere onore alla Vergine Maria dei Poveri, in realtà i poveri morti di colera, e poi, nel XX secolo, di spagnola, infatti è sicuro che ossa umane siano attualmente presenti sotto il pavimento della chiesa e ai lati del sagrato; lo attestano le epigrafi marmoree incastonate sul prospetto dell’edificio. Probabilmente, a causa delle frequenti ondate di colera, cui si aggiunse poi la spagnola, l’eremo fu adoperato dapprima come lazzaretto per i derelitti e per necessità come luogo di sepoltura, anche per evitare che i cadaveri contaminassero gli abitanti del centro cittadino. Con alterne vicende, dalla seconda metà del XX secolo, l’eremo, come ho detto prima, si è convertito in luogo di preghiera, ritiro spirituale e corporale, fino all’incuria devastante per circa vent’anni, che ha avuto come atto finale il crollo del soffitto, l’abbandono da parte dei fedeli e il ri-popolamento di animali e piante. Dopo lunghe traversie burocratiche, gli enti competenti, su pressione del clero e degli indigeni, hanno provveduto a rimettere in sesto l’Eremo.
Un piccolo gioiello nel tessuto della microstoria locale.