Come un Pinocchio di ferro ti ha sputato davanti ai miei occhi la balena verde di foggia americana, tu, già grigia nella senescenza, ancora vivida nell’astuzia acuta e cerimoniosa della volpe. Tra le lacrime hai riassunto in brevi fotogrammi la tua vita, da quel dì in cui perdesti me e i tuoi figli, tu che eri avvezza a conquistarci con le blandizie delle tue parole tra i crich-croch delle patatine e le bollicine di una Coca-Cola. Ora ti vedo immobile nella malattia, mentre le tue mani parlano di libri letti, di cucina e di burraco. Sgrani sul filo della memoria i morti che vivi ci appartennero, i sogni realizzati a metà, le voci che familiari suonano il loro concerto nel nostro breve incontro. Te lo dovevo questo ritrovarci, mai voluto, eppure sognato. Ci ha pensato Dio, il fato, la provvidenza, il caso, e noi non rimaniamo che fragili anelli di un meccanismo inconoscibile, che ha la sete dell’assoluto e il mistero della fede nella vita. Tu arrugginito Pinocchio di ferro e io vivente carcassa di bei ricordi.
Quando scrivi post così… mi commuovo.
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Cara Ilaria, ti ringrazio per l’apprezzamento; dal post, infatti, non si può desumere quasi nulla del contesto, quindi è arduo leggerlo. Un incontro dopo vent’anni di silenzio, che ha comportato qualche notte insonne. Un ciclo si è chiuso e ci si sente più leggeri. Di cosa è capace il passare del tempo! 😇
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Guarda, quando un testo è scritto così bene ti trasmette bellezza ed emozione anche senza conoscere il contesto, anzi ognuno ci aggiunge il suo significato, è questo che ho pensato leggendolo… 🙂
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É vero, può succedere.
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Come ho già osservato più volte, se Melchisedec potesse dedicarsi con maggiore compiutezza alla sua passione letteraria….
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