Quanto ho sofferto per fotografarti, ma ho vinto io!
Perfettamente mimetizzato!
Rosso e azzurro
Gioventù in cerchio
Quanto ho sofferto per fotografarti, ma ho vinto io!
Perfettamente mimetizzato!
Rosso e azzurro
Gioventù in cerchio
Per il post “Soltanto nel Bresciano?” è possibile richiedere la password scrivendo a frombolo2@libero.it. Gradito farsi riconoscere.
Grazie.
Scrivo velocemente due parole, altrimenti correrei il rischio di formulare gli auguri quando ormai è troppo tardi.
Non perché abbia chissà quali programmi di “ricchi premi e cotiglioon“.
Sono giornate particolari, si sa.
Devo, tra l’altro, impastare la farina per le tagliatelle di domani e cuocere, con i suoi tempi, il sugo.
Torniamo agli auguri!
Gli auguri a chi?
Alle persone(bloggers) che gentilmente allietano la mia piccola casetta virtuale, lasciando qualche traccia di sé nei commenti, e non solo.
Oltre che essere un augurio, il post è un grazie a chi, comunque sia, impiega del tempo per dibattere, discutere, argomentare, criticare e tutte queste cose insieme.
Spesso il tempo che gli amici-bloggers dedicano ai nostri spazi virtuali viene in qualche modo oscurato dal nostro egotismo; dovremmo, invece, ricordare che nessuno di noi ha il diritto naturale ad “essere letto” soltanto perché è in grado di scrivere quattro parole in lingua italiana.
Non siamo né Dante, né Borges.
Quindi tutto di guadagnato se qualcuno gentilmente legge e lascia orme di parole.
Che poi diventano occasioni di riflessione e meditazione.
Detto ciò, non avendo io propositi eccezionali per l’anno a venire, giacchè le mie battaglie amo condurle quotidianamente e non nel volo subitaneo di una notte, auguro a tutti i bloggers di trovare, innanzitutto dentro se stessi, la forza di vivere con dignità la propria vita, coltivando le virtù della giustizia, dell’equità, della trasparenza d’animo e della bellezza nelle sue innumerevoli epifanie.
Un po’ di umiltà e bontà non guasterebbero.
Melchisedec
Anche una mia amica, Lina, è incappata nelle protesi fasulle.
Ora, dopo due anni di seno finto, deve subire l’intervento dell’espianto e rimettere le tette nuove.
Una donna apparentemente infelice.
Da vera stupida credeva che il suo problema fosse il seno piatto.
Dico, dopo 18 anni di matrimonio, tre perle di figli e un marito del tutto dedito a lei e alla famiglia, un marito innamorato come il primo giorno, un marito che fa gli straordinari perché la famiglia se la passi discretamente, che cucina, organizza, provvede a che non manchi il necessario, e a volte anche il superfluo.
Lui s’è caricato sulle spalle un debito e l’intervento è stato fatto.
Cosa è cambiato?
Proprio nulla.
Stupidamente infelice era prima, a ragione è infelice ora, perché, quando si tratta di salute, tutti ce la facciamo sotto.
In questi giorni s’è presentata con un avvocato dal chirurgo e ha già concordato ogni cosa.
Anche la consegna delle vecchie tette finte.
Perché l’avvocatessa vuole procedere anche contro la casa produttrice.
E questo mi pare lecito.
Per il resto nessuna pietà.
Parlare di certi libri mette un po’ in difficoltà, perché, per dircela con franchezza, il giudizio su essi viene in qualche modo inficiato dalla personale percezione e rivisitazione dei suoi temi; a volte poi la distanza emotiva del lettore rispetto al narrato è abissale.
Tutto ciò per dire che ho appena finito di leggere La grande festa di Dacia Maraini.
Si tratta di un libro che ho ricevuto in regalo prima di Natale e che meritava di essere letto per due ragioni: una di carattere biografico per la persona che me l’ha regalato, l’altra di gusto prettamente letterario.
La scrittura di Dacia Maraini è leggiadra e piana, letteraria, ma non eccessiva, ha un tono colloquiale tale che il lettore ha l’impressione di chiacchierare con l’autrice stessa o con i personaggi che animano la trama.
Perché si possa pienamente entrare nella profondità dei temi del libro, è necessario avere passato la china della perdita degli affetti più cari, infatti La grande festa, titolo apparentemente ossimorico rispetto al tema affrontato, è un lungo colloquio che l’autrice intrattiene con i suoi cari morti e con il lettore, che diviene pensoso scrigno dei ricordi di Dacia e interlocutore silenzioso sui temi universali della morte, del tempo e dell’eternità.
La grande festa è il tributo, fatto di affetto, ricordo e memoria, ai grandi personaggi che hanno accompagnato la vita della Maraini, da Moravia a Pasolini, dalla sorella Yuki a Maria Callas, dai nonni al compagno Giuseppe, stroncato da una leucemia galoppante, a cui l’uomo ha opposto una lotta di dignità e di umanità.
La grande festa è anche percorsa sotterraneamente da una vena polemica verso quella sottospecie di versione volgarizzante del cattolicesimo, che vede l’aldilà o come un paradiso collocato in una non ben definibile eternità o come inferno latrante di gridi e alti guai; la Maraini non nega la possibilità di un “altrove” che abbia accolto i suoi cari affetti e, anche ammettendo che esista, esso non si identifica certo con i classici luoghi immaginati o rivelati dalla pietà cristiana o dalla cultura biblica e classica.
È invece un luogo più concreto, un angolo sopra la razionalità umana da cui i morti continuano a dialogare con i vivi, uno spazio della mente e del cuore in cui la ricostruzione memoriale mette a confronto vivi e defunti attraverso un viaggio nel passato, ma che rivive nel presente attraverso la scrittura.
Il libro suscita sentimenti di tenerezza per il costante riferimento al dolore che attraversa uomini e storie e all’eterna vicenda di vita e morte che coinvolge l’universo tutto; non mancano delle stilettate alla contemporanea e dominante visione che gli uomini hanno della morte, una peste di cui è meglio tacere o da cui tenersi a debita distanza; condivisibile con l’autrice è la condanna della relegazione dei defunti dentro parallelepipedi di cemento che la moderna civiltà efficientista e igienista ha appositamente costruito perché fosse più netto il distacco tra le due città, quella dei morti e quella dei vivi.
Non è un libro che mi ha entusiasmato più di tanto; infastidisce il lettore “avveduto” il riferimento ai grandi miti, pagani, cristiani ed extraeuropei, della morte e della resurrezione, se non altro perché egli già li conosce, li ha da sempre sviscerati e, pur ammettendo la necessità di continuare a interpretarli, preferirebbe rivisitarli attingendo direttamente alla fonti e non rileggerli incastonati tra le pieghe di un recupero memoriale.
È forse questa la nota stonata de La grande festa, un’indicibile tenerezza di affetti, uno squarcio di umanità su grandi personaggi, non solo di dominio dell’autrice, ma anche della comunità letteraria, resi però prosastici da un filtro letterario che distrae il lettore dalla catarsi inevitabile che la narrazione di solito è in grado di generare.
Ma alla Maraini lo possiamo perdonare.