
Nello sfinimento generale determinato dall’afa di questi giorni si consuma il rito, o i riti, dell’esame di stato, che quest’anno sto vivendo a spizzica e mozzica a causa della presenza di colleghi impegnati in più di una sottocommissione. La qual cosa, devo ammettere, non mi dispiace poi così tanto, perché le pause in un contesto di stanchezza generale aiutano assai ad alleggerire la fatica della correzione e dei colloqui. La presenza, tra l’altro, di un presidente paciosamente burosauro giova assai ai lavori della commissione; come karma vuole, io dovrei essere segretario verbalizzante, ma di fatto non ho digitato una parola di alcun verbale, poiché il garante preferisce “fare” tutto lui. Mi limito a leggerli, correggerli e integrarli se il caso lo richiede. Di fronte ai 13 giorni di lavoro da lui dichiarati nel calendario finora sono stato impegnato soltanto tre giorni. Il presidente è un personaggio quasi pirandelliano, parla moltissimo e mentre lo fa compie un moto circolare lungo il perimetro dei banchetti disposti a corona seppur a debita distanza; egli incoraggia i commissari, sorride, ride, parla come un fiume in piena, ma anche a causa del mio orecchio sinistro poco attivo comprendo una minima percentuale di ciò che blatera. Durante gli scritti è rimasto praticamente recluso nell’aula della commissione; all’improvviso si epifanizzava per non più di cinque minuti, sfoderando un sorriso a 24mila denti(non usa mascherina)e prorompendo in un “tutto a posto?”. E gli scritti, ancora una volta, come già da qualche anno, hanno innescato un putiferio tra professori e professoroni per la presenza di imprecisioni nelle tracce del compito d’italiano, la cui banalità ha eguagliato le glorie dei tempi di Maria Star. Per la tipologia A sono stati proposti una versione rabberciata di un racconto rusticano di Verga spacciato per verista, ossia Nedda, e un testo di esercitazione letteraria di matrice carducciana del fanciullino Pascoli, ossia La via ferrata. Entrambi presentavano, uno nelle richieste e l’altro nelle note a corredo della poesia, tutti gli ingredienti per sfornare un bel pasticcio: forzare Nedda in direzione verista, proporre un confronto con uno dei Vinti verghiani, sterzare in direzione del tema degli ultimi in letteratura; le note a Pascoli, invece, contenevano un’insidia ancora più pericolosa per un femminil lamento associato al suono dei fili del telegrafo anziché al fischio del treno, a cui però il poeta non fa esplicito riferimento. In effetti anche in una delle mie edizioni in possesso la nota di Maurizio Cucchi riporta tale indicazione. Ed essa indubbiamente mette un po’ fuori strada, a meno che non si rifletta sul verbo rombare, che richiama il rumore del treno. Pascoli credo che volutamente abbia voluto mantenersi sul vago, rispettando la forza evocativa della poesia. Razionalmente l’arrivo del treno con annesso fischio e rombo provocherebbe la vibrazione dei fili dei pali del telegrafo…


I miei maturandi ne sono usciti fuori quasi in massa scegliendo Verga(soltanto uno ha optato per Pascoli). La loro scelta mi ha perciò permesso di correggere velocemente gli elaborati e mi ha risparmiato i saggi(?) sulla discriminazione razziale subita a scuola dalla senatrice Segre, sulla musicofilia di Sacks e su altre finte perle di laboratorio costruite dai missi ministeriali. Le tracce come si può ben capire sono state accolte favorevolmente dagli studenti e questo merito non può non essere ascritto alle menti elaboratrici. Scivolata via la correzione degli elaborati, ci stiamo beando delle finezze partorite dai maturandi nei colloqui orali; a loro si chiede di condurre un colloquio pluridisciplinare a partire da un documento proposto dalla commissione, quindi nel giro di un’ora si chiede loro di realizzare quello che giustamente non hanno imparato in cinque anni di liceo, e non perché gli studenti siano incapaci, ma perché si tratta di un’operazione epistemologica scientificamente infondata, che farebbe rabbrividire il più asino degli accademici. Come chiedere a un ingegnere di preparare un progetto di costruzione nell’arco di un’ora. Di fatto le commissioni esaminatrici si trovano davanti a due strade: o si accontentano del prodotto correggendo e integrando, ma sempre nel più becero soggettivismo, o disonestamente cuciono addosso ad ogni studente il vestitino della festa poco prima dell’orale. Voglio tuttavia sperare che esistano menti di colleghi illuminatissimi, abbeverate alle fonti dell’omnisapienza, capaci di superare le barriere epistemiche, metodologiche e strumentali che esistono tra le discipline. Ma io non ne conosco.
Segnalo qui un’analisi esaustiva della poesia di Pascoli. Questo è il tipo di lavoro che personalmente conduco sui testi, senza forzature…
E qui il commento acidulo, ma ineccepibile, del professore Luperini sulle consegne relative a Nedda.