
Cara Falaina, lieto di aver fatto la tua conoscenza, ma vorrei dirti che rami e fiorellini sono stampati, quindi sappi che sarai affidata al volo di quest’ennesima notte afosa. 😀
Cara Falaina, lieto di aver fatto la tua conoscenza, ma vorrei dirti che rami e fiorellini sono stampati, quindi sappi che sarai affidata al volo di quest’ennesima notte afosa. 😀
Credo di averne ammazzate almeno cinque per assoluta ignoranza delle loro abitudini colturali, anche se preso da insania passione per le loro infiorescenze; ho finora giocherellato soltanto con le Phalaenopsis, che per la forma ricordano appunto delle farfalle( a forma di falene in greco); sono le più comuni sul mercato, infatti non c’è fioraio che si rispetti, o serra o supermercato, che non abbia a disposizione delle phal da vendere e che solitamente fanno una triste fine a causa dell’ignoranza di chi le regala e riceve e per il tornaconto dei venditori. Le cause più frequenti della loro lenta morte a casa sono ascrivibili al marciume delle radici o del colletto del fusto, a parte chiaramente la temperatura e l’illuminazione dell’ambiente in cui sono poste. Cosi, dopo aver celebrato le esequie delle phal in mio possesso, crepate quasi tutte per eccesso d’acqua e per i trucchetti dei fiorai, dopo essermi documentato un minimo con esperti disinteressati al lucrimonio del verde, ho deciso di ammazzare le ultime due con le mie mani; se dovessero anche queste marcire, potrei dire orgogliosamente di essere stato io il mandante volontario di tale delitto e forse chiuderei il capitolo delle orchidee in casa. Come ucciderle dunque, o meglio come provare a farle sopravvivere? Sulla scorta delle informazioni recuperate stamani le ho svasate, ho ripulito le radici vive da sintomi di marciume, eliminato quelle secche e legato a mezz’aria tra terriccio e bastone da pothos in fibra di cocco, non interrando del tutto le radici che per eccesso di umidità vanno incontro facilmente alla marcitura. Il risultato probabilmente non corrisponderà alle mie aspettative, ma almeno sto provando a salvarle sperimentando una coltura che si avvicina all’ambiente naturale di alcune orchidee; addirittura alcuni esperti dicono che sia possibile posizionarle a testa in giù, ossia con il colletto orientato verso il terriccio(in verità pezzi di corteccia)proprio per evitare l’accumulo di acqua nel bacino collettore delle foglie e nelle radici che, come si può vedere nella seconda foto dall’alto, sono sospese. Cosa avevo, invece, finora combinato? Mi ero ostinato a interrare tutte le radici, scavando non solo il terreno, ma anche la fossa alle mie phal. Incrocio le dita.
Complice la perturbazione che ha colpito parte dell’Europa, l’aria si è rinfrescata abbastanza anche in Sicilia, dove da qualche giorno soffia un vento rigenerativo del corpo e dello spirito, che ha spazzato via la cappa dell’afa africana. Ieri il cielo era un manto cristallino d’azzurro, oggi lo hanno movimentato grossi nuvoloni bianchi promettenti acqua. Si prevedono, infatti, per domani dei temporali sul basso Tirreno e quindi si sta speranzosi di un ulteriore refrigerio, purché non si verifichino danni catastrofici, come quelli impressionanti verificatisi in alcune regioni della Germania. Dall’estremo ovest giungono immagini altrettanto apocalittiche: una cupola di calore ha innescato dei tremendi incendi negli Stati Uniti e nel Canada e a quanto pare una serie di temporali secchi peggiorerà la già grave situazione di quelle terre. Non avevo mai sentito parlare di temporali secchi, caratterizzati -ho letto- da fulmini in ambiente arido; tali scariche sono molto pericolose, poiché possono causare incendi boschivi quando raggiungono una massa forestale o una macchia secca. Poiché non piove o piove molto poco, le possibilità di propagazione dell’incendio sono elevate. Se si osservano le foto del cielo di questo pomeriggio, non può sfuggire agli occhi anche l’aridità delle stoppie che costeggiano la provinciale che ho percorso; pure le montagne sono una macchia giallastra qua e là interrotta da qualche pino non ancora colpito dagli incendiari professionisti. Se si abbattesse anche nella mia zona una tempesta secca, si incenerirebbe tutto. Mani umane e naturali si stringerebbero in una morsa fatale. Meglio non pensarci! Mi godo, invece, questo corridoio di cielo, che corre verso l’illimitato e l’indefinito leopardiano.
Dovendo per necessità covidiche trascorrere molto tempo a casa(si protrae, infatti, la mia quarantena volontaria)e per spezzare un po’ la monotonia delle occupazioni pseudo-letterarie, sto lisciando il pollice verde e perfezionando le abilità culinarie. Mi sono stati di grande aiuto i consigli degli amici e i tutorial, di cui la rete abbonda.
Sul versante gretinico mi sono dedicato alla concimazione naturale e alle modalità di riproduzione delle piante. Come ingredienti fondamentali per arricchire il terriccio di elementi biologici ho usato acqua, bucce di banane, ricche di fibre, vitamine, potassio, magnesio, e riso. In entrambi i casi ho ottenuto dei liquidi nutrienti, tenendo a macerazione, in distinti contenitori, per 5 giorni, gli scarti delle banane e i chicchi di riso. Il risultato è stato eccellente: non solo i potos hanno prodotto delle foglie gigantesche, ma anche numerosissimi bracci verdi da usare per eventuali talee; gli arbusti sono diventati quasi legnosi e hanno la forza di alzarsi in verticale senza alcun ausilio di sostegno. Anche uno spatifolium, che versava in condizioni critiche, ha rinnovato le foglie ed è fiorito finora due volte. I miei dubbi riguardano, invece, la sperimentazione di una particolare talea; l’impresa è difficile sia perché ho scelto di far riprodurre un particolare arbusto di rosa rampicante, ammantata di spine assai aguzze, sia per il procedimento in sé, mai da me esperito. Non si tratta di impiantare il tipico rametto ficcandolo nel terriccio, ma di far precedere tale operazione da una sorta di radicazione in vitro della durata di 15-20 giorni: ho avvolto il rametto di rosa in fogli di carta da cucina, ho inumidito l’involucro e chiuso ermeticamente dentro un sacchetto alimentare di plastica. Dicono che fra una ventina di giorni il rametto radicherà, pronto per essere piantato in vaso. Perplesso.
In cucina ho sperimentato una sorta di pane in pasta quasi naturale da adoperare come base per la pizza e soprattutto per lo sfincione palermitano. Si tratta di un procedimento laborioso, che può durare 12 o 24 ore, in base al tempo a disposizione. Si impasta 1 kg di farina(semola)con 650 grammi di acqua, sale q.b. e si lascia a riposo per 4 ore; dopo la siesta si aggiungono 2 grammi di lievito di birra e 2 cucchiai di olio di oliva e ogni 30 minuti per 3 ore si lavora l’impasto facendo incamerare aria. A questo punto l’impasto va in frigo per 2 ore coperto da un foglio di pellicola. Terminata la refrigerazione, pirlando si creano dei panetti di 250 gr. e si lasciano lievitare a temperatura ambiente per 3 ore. Si procede quindi con la spianatura e l’aggiunta dei condimenti e poi in forno pre-riscaldato a 240 gradi. Il panpizza cotto risulterà molto morbido e bucherellato al suo interno come fosse emmental e all’esterno con un corposo cornicione, appetibile tanto quanto il resto. Tutto il procedimento si può realizzare in 24 ore, estendendo i tempi e usando farine altamente proteiche, ma sono già faticose 12 ore, figurarsi 24!
Tramonto sull’Isolotto delle Femmine(Pa), che sono riuscito a fotografare per pura fortuna ieri sera anche grazie alla presenza di amici, che come me sono appassionati di fotografia. Ciascuno di noi ha scelto un punto di vista particolare per ritrarlo; a me è piaciuto approfittare della presenza di un arbusto di oleandri dai fiori rosa, per tentare di creare un gioco di “vedo”-“non vedo”, dando l’impressione che la pallina infuocata del sole si fosse nascosta tra le fronde dell’arbusto(foto n. 2 dall’alto), ma poi non ho resistito alla bellezza di tutto il paesaggio e quindi via con una foto panoramica. Un particolare grazie va alla nuvola posizionata a sinistra dell’isolotto, perché ha reso un po’ più poetico il quadretto. Il mare sotto quella luce sfoderava un blu tenebroso, striato a malapena dai riflessi del sole morente, qua e là solcato da qualche sparuta barca in partenza per una battuta di pesca. Anche un aereo ha sorvolato l’isolotto delle Femmine, ma ho preferito lasciare intonso il paesaggio marino e dedicarmi alla luce vespertina e alla sua calda tavolozza di colori.