Vólti

La cronaca di questi giorni ha messo alla ribalta Palermo nel suo volto generoso e avido, solidale ed egoistico, santo e dannato: da una parte l’incarnazione operosa dell’evangelo di Cristo, Biagio Conte, dall’altra il suo azzeramento nella figura del figuro Messina Denaro.

Nell’immediato dei fatti, la morte di Biagio e l’arresto di Messina Denaro, sono scattate insieme apoteosi e vituperazione da parte di uno stuolo di informatori di professione e di opinionisti della strada che, spolverando improvvisamente dall’oblio le due figure, hanno mitizzato l’uno e l’altro sebbene in direzioni divergenti.

Questo nella vicenda storica degli uomini è sempre avvenuto, ma ho trovato comunque ripugnante la descrizione romantica dei covi del ricercato, l’insistenza su particolari degni di vecchie pettegole(il viagra, l’orologio di lusso, i capi alla moda, la malattia…), mentre sono rimasti appena abbozzati nel racconto gli esecrabili delitti e stragi commessi dal figuro in questione; non parliamo poi dei detrattori dello Stato e delle forze dell’ordine, sul cui operato si è ironizzato da più parti alludendo all’arresto come ad una sorta di pantomima.

Non meno irritante è stata la rappresentazione della vicenda di Biagio Conte e delle reazioni della gente comune, che ha già decretato la nascita al cielo del poverello palermitano. Da qualche anno fra i cristiani è invalso purtroppo l’uso dell’espressione nascere al cielo in sostituzione del verbo morire. Non si muore più, si nasce due volte, quando si viene alla luce e quando si muore. La rimozione della dimensione della morte accomuna ormai tutti, laici e credenti cristiani, materialisti e spiritualisti. Il livellamento delle differenze ha abbassato pure gli orizzonti della metafisica e squarciato il velo del mistero della morte.

Al politicamente corretto abituiamoci ad accostare il religiosamente corretto! Si nasce due volte e a decretare la nascita al cielo siamo chiamati noi, novelli dei del XXI secolo.

Posticcio natalizio

Non so se pensare di essere portatore di una sorta di disdetta al blog, perché c’è sempre un motivo che me ne tiene lontano. La vigilia di Natale ho creduto di scrivere un post di auguri, corredato dell’immancabile foto a tema natalizio, ma evidentemente non ho cliccato su pubblica e per di più ho scoperto di non averlo salvato fra le bozze. E ciò mi fa ipotizzare che in quell’istante qualcuno, fisicamente o virtualmente, mi ha distolto dall’impresona. E perciò eccomi qui il 27 dicembre a scrivere un post prevalentemente artificioso nei tempi, ma non nelle intenzioni, sulle feste natalizie che per noi docenti sono una boccata d’ossigeno prima della chiusura quadrimestrale. Per me in realtà si tratta soltanto di un refolo d’aria, sia per impegni familiari che scolastici: i miei vecchi sono in una fase assai energivora delle mie forze e, ciliegina sulla torta, sono nella fase di revisione della carta d’identità della mia scuola prima della pubblicazione. Per questo motivo le mie vacanze restano un nome privo di sostanza; sarà anche per questo che sto vivendo il mio Natale in modo molto tiepido a livello spirituale. Non ho vissuto né la gioia dell’Avvento, né quella della nascita del Figlio di Dio; ho allestito l’albero di Natale il 18 dicembre e i miei vari presepi sono rimasti ben riposti negli scatoloni in attesa di tempi migliori. Ma non ho potuto rinunciare a dare un posto d’onore nella mia casa al Bambinello di cera, che da anni accompagna il mio Natale. Contrariamente alla sua nascita umile l’ho letteralmente immerso nella luce e nel tessuto dorato, forse suggestionato dal sentire comune mondano che concepisce il Natale come festa della luce, della pace, del volemose bene tutti insieme appassionatamente e, non ultimo, del consumo di cibo, di merci e di persone. Il prossimo anno mi impegnerò di più in umiltà.

Corone ‘22

La mia corona d’avvento 2022: le classiche quattro candele tra potos e finte roselline luminose.
Questa è stata preparata dalle mie amiche monache.

Di cherubico fascino

Uno dei simulacri più affascinanti della mia parrocchia, San Vincenzo Ferrer, così dolce nella sua predicazione da essere assimilato ad un cherubino. Manca però la fiamma 🔥 sopra il capo. Vincenzo si immedesimava a tal punto nella propria missione, da autodefinirsi nelle sue prediche “l’angelo dell’Apocalisse”. La fattura di questo santo già da bambino mi rasserenava, compensando la paura che provavo, invece, osservando il teschio posto sulla mano di Santa Rosalia, altro grande must del martirologio siculo. Il 5 aprile ricorre la sua festa.

Sepolcri fai da te

Non essendo possibile quest’anno il giro attraverso i sepolcri(altari della riposizione)allestiti nelle chiese, me li sono autoprodotti in casa; pur avendo piantato i semi di grano in notevole ritardo, grazie alle temperature miti la germogliatura è ugualmente avvenuta e, dopo anni di tentativi a vuoto che mi avevano scoraggiato e spinto a non rinnovare la tradizione, il risultato è pressoché accettabile. Per una buona riuscita dei sepolcri è necessario usare contenitori né profondi, né bassi; un bordo di circa 6 cm evita che i germogli si allettino. Come base di coltura ho usato dell’ovatta, ma c’è chi adopera del terriccio. Ho innaffiato a spruzzo ogni tre giorni, riponendo i contenitori in un luogo mite, ma rigorosamente al buio. Stamani ho ornato i sepolcri con dei garofani, ma la nonna materna giustamente usava un rametto di fresie o di violacciocca: il peso dei garofani è, infatti, eccessivo per le fragili fibre del grano filiforme. In autunno ho piantato dei bulbi di fresie proprio in vista dell’ornamento, ma ad oggi neanche l’ombra di un bocciolo; soltanto foglie, foglie, foglie. Bulbi sterili o mia imperizia? Io intanto continuo ad attendere la loro fioritura.