“La grande festa”

Parlare di certi libri mette un po’ in difficoltà, perché, per dircela con franchezza, il giudizio su essi viene in qualche modo inficiato dalla personale percezione e rivisitazione dei suoi temi; a volte poi la distanza emotiva del lettore rispetto al narrato è abissale.
Tutto ciò per dire che ho appena finito di leggere La grande festa di Dacia Maraini.
Si tratta di un libro che ho ricevuto in regalo prima di Natale e che meritava di essere letto per due ragioni: una di carattere biografico per la persona che me l’ha regalato, l’altra di gusto prettamente letterario.
La scrittura di Dacia Maraini è leggiadra e piana, letteraria, ma non eccessiva, ha un tono colloquiale tale che il lettore ha l’impressione di chiacchierare con l’autrice stessa o con i personaggi che animano la trama.
Perché si possa pienamente entrare nella profondità dei temi del libro, è necessario avere passato la china della perdita degli affetti più cari, infatti La grande festa, titolo apparentemente ossimorico rispetto al tema affrontato, è un lungo colloquio che l’autrice intrattiene con i suoi cari morti e con il lettore, che diviene pensoso scrigno dei ricordi di Dacia e interlocutore silenzioso sui temi universali della morte, del tempo e dell’eternità.
La grande festa è il tributo, fatto di affetto, ricordo e memoria, ai grandi personaggi che hanno accompagnato la vita della Maraini, da Moravia a Pasolini, dalla sorella Yuki a Maria Callas, dai nonni al compagno Giuseppe, stroncato da una leucemia galoppante, a cui l’uomo ha opposto una lotta di dignità e di umanità.
La grande festa è anche percorsa sotterraneamente da una vena polemica verso quella sottospecie di versione volgarizzante del cattolicesimo, che vede l’aldilà o come un paradiso collocato in una non ben definibile eternità o come inferno latrante di gridi e alti guai; la Maraini non nega la possibilità di un “altrove” che abbia accolto i suoi cari affetti e, anche ammettendo che esista, esso non si identifica certo con i classici luoghi immaginati o rivelati dalla pietà cristiana o dalla cultura biblica e classica.
È invece un luogo più concreto, un angolo sopra la razionalità umana da cui i morti continuano a dialogare con i vivi, uno spazio della mente e del cuore in cui la ricostruzione memoriale mette a confronto vivi e defunti attraverso un viaggio nel passato, ma che rivive nel presente attraverso la scrittura.
Il libro suscita sentimenti di tenerezza per il costante riferimento al dolore che attraversa uomini e storie e all’eterna vicenda di vita e morte che coinvolge l’universo tutto; non mancano delle stilettate alla contemporanea e dominante visione che gli uomini hanno della morte, una peste di cui è meglio tacere o da cui tenersi a debita distanza; condivisibile con l’autrice è la condanna della relegazione dei defunti dentro parallelepipedi di cemento che la moderna civiltà efficientista e igienista ha appositamente costruito perché fosse più netto il distacco tra le due città, quella dei morti e quella dei vivi.

Non è un libro che mi ha entusiasmato più di tanto; infastidisce il lettore “avveduto” il riferimento ai grandi miti, pagani, cristiani ed extraeuropei, della morte e della resurrezione, se non altro perché egli già li conosce, li ha da sempre sviscerati e, pur ammettendo la necessità di continuare a interpretarli, preferirebbe rivisitarli attingendo direttamente alla fonti e non rileggerli incastonati tra le pieghe di un recupero memoriale.
È forse questa la nota stonata de La grande festa, un’indicibile tenerezza di affetti, uno squarcio di umanità su grandi personaggi, non solo di dominio dell’autrice, ma anche della comunità letteraria, resi però prosastici da un filtro letterario che distrae il lettore dalla catarsi inevitabile che la narrazione di solito è in grado di generare.

Ma alla Maraini lo possiamo perdonare.

9 pensieri su ““La grande festa”

  1. Non ho letto questo libro che mi sembra, dalla tua descrizione, molto nelle corde dell’autrice. Mi hai incuriosito!
    In generale, però, che bello in questi giorni dedicarsi alla lettura matta e disperatissima, vorace e senza orari (io ho appena finito Blacklands, interessante romanzo di esordio, ne ho parlato da me).

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  2. Mi piace la Maraini, soprattutto come persona, sembra una donna sincera ed aperta. Non ho letto molto di lei, in casa ho Buio e Memorie di una ladra ancora da leggere, ma il tempo che posso dedicare alla lettura in questo momento della mia vita è molto scarso, da quando Andrea va a dormire a quando anche a me comincia a calare la palpebra.
    Resisto di più quando il libro che leggo è molto interessante, e quello che sto leggendo in questi giorni (discutibilissimo per certi versi) è uno di quelli capaci di non farti dormire per la rabbia, tanto difficili da digerire sono alcune cose che vi sono scritte. Poi quando un libro ti da delle risposte ad alcune cose che ti sei chiesto da sempre è una gran bel leggere!

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      • E’ un libro che mi ha prestato mio fratello, Guida alla cospirazione globale di David Icke, un libro che a guardalo sembra un manuale da computer, come impostazione grafica, con una brutta copertina ed un titolo che desta sospetti. Se l’avessi visto in libreria non l’avrei mai comprato…
        A parte la discutibile tesi di fondo, cioè che il mondo è guidato da una stirpe di ibridi umano-alieni, dice delle cose molto puntuali e profetiche sulla nostra società odierna e su tanti fatti del passato, il tutto scritto in modo scorrevole, chiaro e con un pizzico di umorismo, che di tanto in tanto allegerisce la pesantezza dei fatti esposti.
        Quando avrò finito di leggerlo ti dirò di più, per il momento sopsendo ulteriori giudizi.

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  3. Sì sì, e infatti mi aspettavo la recensione di Terracarne: ma lo hai letto, poi, o sarà lui lo spirito traghettatore?! (io dopo Blacklands e un po’ di divertissements natalizi, penso che scavallerò l’anno con Murakami, scelta imprevista ma che mi sta convincendo abbastanza, per ora).

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    • Ho iniziato “Terracarne”, mi ha da subito prostrato, un po’ “depressivo”, ma non ho elementi utili a darne una visione quanto mai “obiettiva”.
      Di Murakami uno dei miei nipoti mi ha parlato bene, se ci riferiamo all’ultimo.

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      • Di IQ84 per la verità ho avuto giudizi contraddittori (oltre al fatto che in Italia hanno fatto questa operazione editoriale ignobile di pubblicare solo i primi due volumi senza il terzo che è già stato tradotto in inglese). No no, io non avevo ancora letto niente, suo, perché la letteratura giapponese, tutte le volte che l’ho letta (niente di che, eh, giusto i super-classici), mi ha lasciato ammirata ma fredda. Così, dietro consigli di amici vari di cui mi fido molto, alla fine ho preso il meno Murahamiano (e dunque il meno giapponese) di tutti i suoi romanzi: Norwegian Wood.

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