A sciarra finì

Sciarra Chitarra musica e battaglia scendi dalle scale, faccia di maiale.

img_9441Questa è la filastrocca che i bambini degli anni ’70, cresciuti anche nella scuola della strada, eravamo soliti intonare come menestrelli in erba, quando si litigava e si dichiarava guerra a colui che, qualche minuto prima, era stato il nostro preferito compagno di giochi. La guerra durava al massimo l’arco di una nottata e nessuno di noi si sognava di afferrare un coltello e di assassinare l’avversario. Era una guerra giocosa e burlesca, fatta di scaramucce e dispetti; spenta la sciarra, si tornava amici.

Sciarra. Ecco la parola che oggi pomeriggio ha fatto scaturire dalla memoria la filastrocca fanciullesca che, a dire il vero, non ricordo a quale gioco o tradizione risalga. E il colpevole è Luigi Pulci, autore del Morgante maggiore, oggetto della mia prossima lezione di letteratura italiana. Fino a qualche ora fa pensavo che la parola sciarra fosse rimasta confinata nel vernacolo siciliano, che tanti tributi ha ricevuto dalla lingua araba. La parola deriva dall’arabo sarrah e vuol dire ostilità; per essere precisi nella lingua siciliana è un nome legato alla concretezza dell’azione e indica una lite furibonda, che comunque potrebbe prevedere una possibile riconciliazione tra i litiganti. Da sciarra è derivato l’intransitivo pronominale reciproco sciarriarsi e il sostantivo sciarriatina. Rileggendo qua e là il Morgante(dopo anni di abbandono), ne ho assaporato il variegato tessuto linguistico, che è ricco di prestiti dialettali da varie parti d’Italia. Avevo cominciato a rileggerlo mosso dal dovere di preparare la lezione e invece sono stato catturato dalla fattura linguistica del poema, che come un collante salda le strampalate avventure dei protagonisti mostruosi, un gigante, appunto Morgante, e un gigante riuscito a metà, Margutte, la cui trinità è costituita dalla torta, dal tortello e dal fegatello. Un’opera così intelligentemente viva che oggi, in piena epoca di linguisticamente(e politicamente)corretto, apparentemente laica, susciterebbe, come minimo, una levata di scudi. 

16 pensieri su “A sciarra finì

  1. “Sciarratina” ricordo di averlo trovato spesso nei gialli di Camilleri.
    Il Morgante invece l’ho letto da ragazzina, in una versione a fumetti. Una edizione stranissima, che fece una brutta fine, dato che mia madre faceva periodiche “pulizie”, e libro squinternato era libro buttato. Chiaramente al tempo mi sfuggirono tutte le implicazioni letterarie e filosofiche dell’opera…. e pure la narrazione dei fatti , ahimè, si è persa nei meandri della memoria.

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  2. da te s’impara sempre qualcosa! Morgante, son sincera, si è perso nei miei ricordi, invece condivido il pensiero di Ornella che mi ha fatto tornare in mente Camilleri 🙂 Buona lezione Mel, i tuoi alunni saranno entusiasti

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  3. Sul Morgante ho scritto uno dei miei primi saggi (il secondo, ero una bimbetta di 21 anni), tutto giocato sulle presenze dantesche, di lingua, stile e struttura, nel poema. Da allora, lo guardo con gli occhi di chi sa. E ne parlo sempre agli alunni, almeno un po’.

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    • Per qualche ciclo scolastico, credo due, per vari motivi ho tralasciato Pulci, ma una serie di circostanze favorevoli mi consente oggi di proporlo ai ragazzi e riproporlo a me stesso. Sulla lingua del Morgante si può dire tanto, forse più del contenuto.

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  4. … molto meglio lo “sciarra” anni 70 rispetto lo “scialla” di diverso significato, neologismo in auge nei ragazzetti del nuovo milennio…
    Almeno voi, da quanto leggo, avevate ereditato qualcosa 🙂
    Ad minchiam caro Prof.. ad minchiam!
    Raymond

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  5. Salve Mel, piacere di ritrovarti dopo anni vari. Forse non ti ricorderai di me, ma io si. Sono Fabio e ti annuncio con soddisfazione che siamo diventati colleghi anche se io però insegno materie tecniche in un istituto professionale dopo aver vinto il concorso del 2016. Ora posso ricominciare a leggere con piacere i tuoi scritti. A presto.

    Fabio

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    • No Mel, io sono l’ingegnere che però insegnava chitarra alla scuola media. Ora insegno elettrotecnica e materie affini anche se la musica non l’ho mai abbandonata, anzi continuo a coltivarla in proprio nel salotto di casa mia. Ha voluto la sorte che il mio ultimo insegnamento musicale sia avvenuto nella stessa scuola dove era cominciato venti anni addietro. Forse il destino mi stava avvisando che un ciclo stava per chiedersi. Di russo non ho mai saputo nulla. Possiamo parlare di musicisti russi, ma di lingua russa proprio no.

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